Su Il Foglio di sabato Antonio Pilati, in uno dei suoi acuti articoli, invitava a riflettere su come il mondo nel suo complesso stia oggi scivolando, quasi inconsapevolmente , nel peggiore caos dallo scoppio della II Guerra Mondiale. Caos in geopolitica e’ sinonimo di rischio : il rischio che una delle crisi entri in fase acuta e faccia da detonatore per tutte le altre. Non si tratta di essere “apocalittici” e, come nell’omonima serie televisiva, cominciare ad ammassare scorte alimentari in cantina. Si tratta di avere coscienza di se e del mondo in cui ci si trova a vivere, perché nulla è scontato come molti dei nostri politici, per pigrizia, tendono a credere.
Pilati sottolinea solo alcuni dei numerosissimi scenari di crisi acuta, ciascuno dei quali in grado di causare serissimi problemi a tutti noi. Quello che però trovo più interessante sono gli elementi di quadro che soggiacciono ai singoli eventi . Quattro in particolare :
- l’egemonia del debito sulla politica a livello nazionale e internazionale
- il ripiegamento su se stessa della politica americana sotto la presidenza Obama
– il mercantilismo egemone della Germania in Euro pa
– l’espansionismo della Cina a livello mondiale
Già così sarebbe un bel tavolo da poker ma, per essere corretti, mancherebbe ancora il convitato di pietra di ogni discussione geopolitica di questi mesi : la Russia, con o senza Putin.
Come dimostra brillantemente il caso italiano, senza andare ai casi estremi della Grecia e di Cipro, le armi del debito pubblico sono quelle che permettono al sistema finanziario di relegare la politica ad un ruolo amministrativo marginale e completamente estraneo alle scelte strategiche. Se avessimo avuto dei dubbi ce li saremmo tolti definitivamente con il discorso al Consiglio Direttivo dell’Eurotower dei primi di agosto di Mario Draghi – che pure ha qualche merito e, non ultimo, quello di dire spesso verità fattuali scomode – il quale ha evidenziato la necessità per gli stati nazionali di cedere ulteriore sovranità anche in campo politico per fronteggiare le crisi del debito. Così il ciclo si chiude: il debito, impugnato come una clava, impedisce alla politica di scegliere; siccome la politica non sceglie, la situazione del debito peggiora; se la situazione peggiora allora occorre che chi gestisce il debito scelga al posto di quella politica paralizzata dal debito stesso. La quadratura del cerchio, un loop senza fine, o con una pessima fine.
Il debito è arma potente e le sue leve fanno gola a molti politici e a molti stati. C’è’ sempre qualcuno che prova a cavalcare la tigre : dal nostro piccolo Monti a Obama, dalla Merkel e Xi Jinping. Su Monti sembra oramai inutile soffermarsi e la Russia di Putin merita una riflessione a parte. Qualche considerazione sui rimanenti attori del dramma della crisi può essere utile.
Barak Obama ha rinunciato consapevolmente ad ogni tentativo degli USA di incidere direttamente sull’ordine mondiale post guerra fredda . Abbandona vecchi alleati al proprio destino e semina confusione nel campo amico. Accerchia la Russia in maniera suicida coinvolgendo nel suo pervicace quanto misterioso disegno un’Europa debole e divisa che, invece, dalla profondità strategica orientale avrebbe molto da guadagnare. Chiede agli europei di chiudere dal loro lato i rubinetti energetici russi e offre in cambio il gas delle aziende americane a prezzi da borsa nera. E’ in grado di affermare, pochi minuti dopo il fatto e con assoluta certezza, che il missile che ha abbattuto l’aereo malaysiano sui cieli ucraini era certamente russo ma non sa ancora dirci, a 34 anni di distanza, dove stavano le portaerei americane la sera della strage di Ustica. Pensa di poter cavalcare la tigre del debito stampando dollari e vendendoli a ricchi sauditi e avidi cinesi, fingendo di non sapere che così ipoteca il futuro dell’America con chi prima o poi presenterà un conto salato in termini globali. Alla fine del suo doppio mandato lascerà un ‘America odiata dai suoi vecchi e nuovi nemici e sfiduciata dagli alleati, militarmente debole e finanziariamente ricattabile: non esattamente una bella posizione.
La tedesca Angela Merkel ha certamente condotto la Germania definitivamente fuori dalla crisi dei primi anni duemila e ha chiuso, in attivo, i conti della riunificazione. Ora forte di uno stato ordinato, di una posizione dominante in economia e di una indiscussa egemonia politico-burocratica nelle istituzioni europee vorrebbe semplicemente prendersi tutto il piatto continentale. Usa l’euro come se fosse la sua moneta nazionale. Attacca finanziariamente i Partners europei mirando alle parti molli del debito. Amoreggia con la Cina per veicolare in occidente il surplus produttivo asiatico in cambio dell’assorbimento della produzione di qualità tedesca. Detta le regole di un gioco oggi impossibile per chiunque non parli tedesco, spacciandole per ovvietà ineluttabili scolpite nella pietra, commissariando e umiliando chiunque le metta in dubbio. Lascerà ai suoi eredi un Germania pericolosamente convinta della propria superiorità di destino, con pochi alleati al fianco e molti clienti sull’orlo del fallimento. Nulla di cui andare fieri.
Il cinese Xi Jinping, dopo secoli di isolazionismo, intende definitivamente lanciare la Cina come potenza globale avendo alle spalle l’immensa capacità produttiva dello stato più popoloso del mondo, con tutti i vantaggi operativi di un sistema sociale pazzescamente squilibrato. Compra il debito sovrano di quasi tutti, compra terre arabili quasi ovunque, compra aziende strategiche quando glielo lasciano fare. Investe in spese militari percentuali per noi impensabili del primo PIL del mondo. Dopo secoli di marina costiera compra e costruisce una flotta oceanica e si procura con ogni mezzo basi navali ovunque qualcuno sua disposto a dargliele. Tutto il resto del mondo finge di non sapere che il gigante cinese cammina da qualche anno su una lastra di ghiaccio davvero sottile, impiccata all’obbligo di crescere a doppia cifra all’infinito. I tarli del tracollo si annidano nella sterminata complessità etnica dell’impero, nella desolante sterilità demografica ereditata dalla politica del figlio unico, nella reazione che prima o poi coinvolge sempre quelli “troppo grandi per essere amici di tutti “
Questo rapido ed incompleto “bignamino dell’apocalisse” non è fatto per rovinarci le ferie ma per ricordarci alcune cose importanti.
La prima e’ che quando nelle relazioni fra persone come fra popoli viene meno qualunque riferimento identitario di civiltà e di etica condivisa non nasce il mondo della pace senza confini degli utopisti liberali ma quello della guerra senza limiti dei sanguinari di ogni epoca.
La seconda e’ che quando le logiche mercantilistiche prevalgono su quelle politiche non diventiamo tutti più ricchi, come vorrebbero farci credere i turbo-capitalisti contemporanei, bensì tutti più poveri.
La terza, quella per me più importante, e’ che il mondo diventa un posto ogni giorno più complicato e, di conseguenza, la politica, come tentativo di dare ordine alla vita delle genti, diventa una disciplina ogni giorno più difficile. Il debito, l’asimmetria delle forze, il trasformismo degli attori, il cinismo delle strategie rappresentano oggi delle autentiche “armi di costrizione di massa” mediante le quali a popoli interi viene negato il diritto a realizzare le proprie aspirazioni nella libertà e nella giustizia. Il passo dalla costrizione alla distruzione può essere anche molto breve ed è per questo che i politici del presente dovrebbero essere capaci di guardare un po’ più lontano, praticare una politica non tecnica ma competente, basata sull’amore per il bene comune, sulla cultura e sulla visione di un futuro possibile.
Scusatemi, ma io, ancora una volta, sul punto non sono affatto ottimista!