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Chiesa Madre

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Chiesa Madre

Ci sono momenti nella vita delle famiglie nei quali essere figli pesa, in termini di responsabilità, tanto quanto essere genitori.

Per chi, come cattolico, si sente figlio della Santa Madre Chiesa questi giorni sono uno di quei momenti. Così come nelle famiglie piccole, anche in quella grande famiglia spirituale che è la Chiesa, alla fine, è solo con partecipazione responsabile di tutti, genitori e figli, che si supera lo sconcerto, il dolore , la fatica e se ne esce migliori di prima.

Cosa può voler dire “atteggiamento responsabile” in un frangente unico della storia come quello offertoci dalle dimissioni di Benedetto XVI dalla Cattedra Petrina e dalla prossima elezione di un nuovo Pontefice ? In primo luogo vuol dire, secondo me, rinunciare alla tentazione del giudizio a tutti i costi, quasi obbligatorio nella moderna società della comunicazione; agere contra l’ossessione di porre in pubblico un commento, che si pretenderebbe assertivo ma che è inevitabilmente particolare, o peggio, avventato di fronte ad un avvenimento che invece trascende, con la sua portata, a il momento presente.

Mai come ora chi ha a cuore questo bene deve anteporre la riflessione al giudizio. Ecco perché di seguito desidero, con tutta l’umiltà possibile, offrire qualche spunto di meditazione che ho incontrato mentre mi sforzavo di metabolizzare la notizia.

1) Il primo suggerimento riguarda il fatto in sé. Nell’ascoltare e leggere in questi giorni vari commenti e “approfondimenti, mi sono convinto di una cosa : non siamo più in grado di riconoscere un gesto di portata storica quando ne incontriamo uno. Gli argomenti usati sono chiaramente quelli che si riservano ad fatto di cronaca non di storia. Non è vero che tutta la storia prima di diventare tale passa per la cronaca, vi sono alcuni fatti che entrano direttamente nel storia stessa, e questo direi che lo merita di diritto. La nostra capacità di lettura del tempo presente dovrebbe metterci in grado di riconoscere l’assoluta e unica grandezza del gesto e di collocarlo nella vita della Chiesa, non solo quella passata ma, anche e specialmente, quella presente. La lettura immediatamente “dietrologica” che molti hanno dato dimostra la sostanziale incapacità degli uomini moderni di “salire di un piano”. La logica del “chissà cosa c’è dietro !” non è soltanto assurda, in primo luogo è inutile : dietro non c’è nulla perché le tragedie del mondo e della Chiesa, purtroppo, sono tutte davanti ! Davanti ai nostri e agli altrui occhi, come ha giustamente fatto notare il Pontefice durante i riti di inizio Quaresima. Le ragioni del suo meditato e libero gesto sono tutte nella Sue parole, quelle che ha detto all’annuncio e quelle che dirà nei prossimi giorni fino alla fine del suo pontificato.

2) Altro elemento importante è “l’unicità” del gesto. Poco ci giova qualche sfoggio di conoscenza storica volta ad individuare rassicuranti precedenti, di solito ottenuti con un copia e incolla dalla voce Wikipedia su (San) Celestino V. La statura della persona di Joseph Ratzinger, la sua “carriera” nella Chiesa, l’affermata libertà e consapevolezza, sono già di per se argomenti sufficienti a sgombrare il campo da molti dubbi sulla mancanza di reali precedenti. A questo bisogna aggiungere un fattore esterno : quello ambientale del villaggio globale dell’informazione. Del “Gran Rifiuto” di Celestino V una buona parte dei suoi contemporanei seppe quando era già morto perfino il suo successore; noi stessi lo ricordiamo a stento tramite la citazione dantesca. Il 12 febbraio 2013 la notizia ha raggiunto i più sperduti angoli del mondo in meno tre minuti. Il mettere in relazione la grandezza del personaggio, l’unicità del gesto e la consapevolezza della scelta ci dovrebbe portare abbastanza facilmente a considerare la gravità del momento.

3) E’ umanamente comprensibile che leggendo le parole dell’annuncio del Pontefice nel quale si parla di stanchezza, di vecchiaia, di inabilità fisica rispetto alla grandezza dei problemi, molti tendano a darne una lettura un po’ banalizzante. Anche su questo punto occorrerebbe sforzarsi di alzare la mira delle nostre riflessioni. Non è che “perfino il Papa ne ha le scatole piene “ o, diventando vecchio, non ha più la voglia o la forza di alzarsi presto al mattino e sbrigare rogne fino tarda a sera. C’è molto di più, per Lui e per noi. Il peso non più sopportabile è morale ed è dato dalla gravità del momento che potremmo definire tecnicamente “apocalittico”. Sul punto non mi dilungo perché rimando all’articolo di Massimo Introvigne che bene espone questo aspetto. Non c’entrano Nostradamus o Malachia ( e neppure il Mago Otelma ), c’entriamo, purtroppo, tutti noi, con il nostro mondo dove la fede si sta riducendo ad un lumicino e l’attacco al cristianesimo e ai suoi valori ha raggiunto quantità e livelli mai visti prima. Quel peso che richiede un più forte “Cireneo”, come accadde con la Croce del Cristo sulla dolorosa strada del Golgota, è la tragica putrefazione di una civiltà un tempo cristiana.

4) Questa tragedia accade davanti ai nostri occhi. Chiamatelo pure egocentrismo, ma il primo pensiero che mi ha attraversato la mente quando mi sono veramente convinto che non si trattava di uno scherzo è stato: “ Accidenti ! la nostra è la prima generazione nella storia dell’umanità che, in modo consapevole e in diretta mondiale, è chiamato a vivere un avvenimento come questo. Siccome nulla accade per caso, vorrà dire qualche cosa per me, per noi ? Si, e questo , forse, potrebbe essere esattamente lo scopo che il Papa si prefigge con il suo gesto : è una chiamata, rinforzata da una forte scossa, alla responsabilità. La chiamata a porre le basi, in mezzo al dolore e alle macerie, di una rinnovata Civiltà Cristiana che guardi al futuro più che al passato. Questa ricostruzione parte dalla Chiesa e dal gesto scioccante del suo Pontefice ma arriva a tutti noi come richiesta di un gesto d’amore. Come dicevo prima, non mi permetto neanche lontanamente di giudicare la fondatezza della posizione del Papa; mi permetto invece ( eccome ! ) di valutare, alla luce di questa chiamata, le affermazioni che vedo in giro. Non ama responsabilmente la Chiesa chi nel momento dei Getsemani evoca la categoria del tradimento, dell’abbandono della Barca da parte di Pietro; ama la Chiesa , o almeno si sforza di amarla, chi si fa scuotere nel profondo dalla scarica che il Magistero Vivente ci ha inviato; la ama chi da questa scossa trae energie nuove per fondare, su una speranza antica, un futuro di missione.

5) Mutatis mutandis et servata distantia, l’enormità di questa scelta aiuta anche noi piccoli italiani a mettere le cose nella giusta prospettiva in questo momento topico per il nostro paese. Mi diceva un amico, come me cultore di commenti politici, che “da ieri tutto mi sembra un po’ più piccolo”. Non voglio sminuire l’importanza della lotta politica per il bene comune; lo stesso Pontefice la esalta nella Caritas in Veritate. E ci mancherebbe altro ! ho scelto consapevolmente di dedicarci un pezzo importante della mia vita. Semmai questo gesto ci ricorda con una forza straordinaria che la politica è un mezzo – buono se la si fa bene, cattivo se la si fa male – e che il fine è la ricerca del bene comune. Una ricerca che la Chiesa ha cominciato molto ( ma molto ! ) prima del 12 febbraio 2013 e che si concluderà molto ( ma molto ! ) dopo il 28 febbraio 2013.

Meditare prima di giudicare è, quindi, indispensabile e la preghiera è strumento non solo sufficiente ma addirittura ridondante. Senza voler dire che alla preghiera manca qualcosa bisogna però ricordarsi che dopo la preghiera deve venire l’azione condita con la categoria, scandalosa agli occhi di tanti, del sacrificio. Ho cercato a lungo una citazione del Magistero di Benedetto XVI con cui salutare l’avvio del Pontefice verso il suo cammino di nascondimento e preghiera. Alla fine l’ho trovata in un testo che non può essere definito tecnicamente di Magistero ma che per me ha significato in questi anni il senso ultimo di una militanza, di qualunque militanza. Da quasi sette anni tengo piegata nel portafoglio questa citazione e la estraggo ogni volta che qualcuno mi chiede quali strumenti usare per la Buona Battaglia. Si tratta di un paragrafo dell’intervento che l’allora Cardinale Ratzinger tenne poche settimane prima della sua elezione a Papa in quel di Subiaco in occasione del ritiro del premio S. Benedetto che quell’anno gli era stato conferito. Vi suggerisco di soffermarvi su ogni singola parola perché ne vale la pena.

“Ciò di cui abbiamo soprattutto bisogno in questo momento della storia sono uomini che, attraverso una fede illuminata e vissuta, rendano Dio credibile in questo mondo. La testimonianza negativa di cristiani che parlavano di Dio e vivevano contro di Lui, ha oscurato l’immagine di Dio e ha aperto la porta all’incredulità. Abbiamo bisogno di uomini che tengano lo sguardo dritto verso Dio, imparando da lì la vera umanità. Abbiamo bisogno di uomini il cui intelletto sia illuminato dalla luce di Dio e a cui Dio apra il cuore, in modo che il loro intelletto possa parlare all’intelletto degli altri e il loro cuore possa aprire il cuore degli altri.

Soltanto attraverso uomini che sono toccati da Dio, Dio può far ritorno presso gli uomini. Abbiamo bisogno di uomini come Benedetto da Norcia il quale, in un tempo di dissipazione e di decadenza, si sprofondò nella solitudine più estrema, riuscendo, dopo tutte le purificazioni che dovette subire, a risalire alla luce, a ritornare e a fondare a Montecassino, la città sul monte che, con tante rovine, mise insieme le forze dalle quali si formò un mondo nuovo.”

Card. Joseph Ratzinger, 1 aprile 2005, Monastero di Santa Scolastica, Subiaco.

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