Le sparate propagandistiche di Bersani & Co sull’intenzione di cancellare il programma di acquisizione degli aerei F35 per L’Aeronautica Militare sono la migliore testimonianza della sostanziale inadeguatezza della sinistra a governare seriamente l’Italia.
Senza chiamare in causa l’ossessione francese per lo strumento militare come espressione della “grandeur”, bisogna dire che in nessun altro paese civile le tematiche della difesa sono massacrate dalla demagogia politica come da noi. Anche chi si rende responsabilmente conto della necessità di possedere uno strumento militare efficace viene spesso colto da una inspiegabile “vergogna” per cui la giustificazione addotta è in primo luogo ed esclusivamente di natura economico-lavorativa. Bisogna costruire questo perché da lavoro, quello perché fa tenere aperte delle aziende, altrimenti bisogna mettere in casa integrazione migliaia di lavoratori, etc. Queste ragioni sono, come vedremo più avanti, vere e validissime ma posizionate in maniera scorretta, quasi che, nella migliore delle ipotesi, l’industria della difesa fosse un ammortizzatore sociale mascherato che, come esito secondario, malvoluto ma necessario, produce sistemi d’arma che non servono a nulla. E’ chiaro che in questo modo si spalanca la porta ad obiezioni di forte impatto emotivo sull’opinione pubblica pur nella loro sostanziale erroneità. Se l’unico scopo è evitare i licenziamenti perché non usare i fondi per coprire direttamente gli ammortizzatori sociali senza passare per quei rumorosissimi aeroplani ?
Quello che bisogna avere il sereno coraggio di dire è che all’Italia, come ad ogni altro paese nella sua posizione geopolitica, serve uno strumento militare valido, moderno, efficace, che venga aggiornato e mantenuto nei decenni con finanziamenti certamente commisurati alla situazione finanziaria del paese ma che non possono e non devono essere azzerati.
E’ una “questione di interesse nazionale” che coinvolge la credibilità della nostra nazione sovrana. Credibilità che oggi si declina in termini di proiezione di potenza ( spesso, per fortuna, più simulata che reale), di capacità di impiego, di schieramento preventivo e anche di capacità di identificare e colpire le minacce asimmetriche con precisione chirurgica. Tutti compiti per i quali l’F35 rappresenta lo stato dell’arte.
Non che le Forze Armate italiane siano esenti da problemi, sprechi e cattive gestioni, ma esse sono ancora oggi un elemento essenziale della struttura del paese e gli uomini e le donne che ne fanno parte rappresentano una delle parti migliori di questa nazione, come dimostrato dal comportamento esemplare dei Marò nello spinoso caso indiano. Non, quindi, mangiapane a tradimento che vogliono costosi giocattoli, come li fa apparire certa stampa.
Veniamo ai famosi F35. Che cos’è l’F35 ? E’ un aereo multiruolo di 5° generazione. Ha cioè una vocazione primaria per l’individuazione e l’attacco di obbiettivi al suolo ma è in grado di compiere anche missioni di ricognizione, guerra elettronica e, in combinazione con altri velivoli, di sorveglianza e interdizione dello spazio aereo. Viene detto di 5° generazione perche possiede caratteristiche tecnologiche estremamente avanzate e tali da renderlo efficace per i prossimi quarant’anni. Si tratta di un sistema d’arma ( non bisogna pensare solo al velivolo, ma anche ai suoi sensori, alle armi che può trasportare, al suo supporto a terra, alle strutture di addestramento) estremamente complesso con capacità di rendersi quasi invisibile ai radar e di operare nelle più difficili condizioni ambientali. Questa complessità, unitamente ad una pianificazione diversa rispetto al passato, ha generato non pochi problemi nella fase di sviluppo che hanno comportato numerosi ritardi e aumenti dei costi. Un progetto non esente da problemi come accade quasi sempre con sistemi di questo tipo (si pensi che solo nella fase di sviluppo sono previsti 59.585 test point ) e che sono in gran parte risolti o in fase di risoluzione. Compresa la nota vulnerabilità ai fulmini (sic!) che toglie il sonno all’On Di Pietro. L’Italia aveva originariamente ordinato 140 velivoli, poi scesi ai 90 attuali, destinati a sostituire tre differenti tipi di aerei di Aeronautica e Marina : i TORNADO, gli AMX e gli HARRIER AV8B, acquisiti originariamente in 250 esemplari dei quali ne sopravvivono circa 130, alcuni più vecchi dei loro piloti, con enormi oneri di gestione e manutenzione. Una scelta che dal punto di vista operativo appare oggettivamente saggia e che ha già scontato un significativa quota di compromessi con la diminuzione dei velivoli e la dilatazione dei tempi di acquisizione. La cancellazione del programma, dal punto di vista operativo, ridurrebbe praticamente a zero in pochissimi anni la capacità “strike” della nostra aeronautica.
A questo punto, non prima, entrano in gioco considerazione di ordine economico e industriale. E’ inutile nascondersi dietro ad un dito, l’acquisizione di un velivolo come questo rappresenta una spesa e non certo un guadagno, almeno in termini strettamente monetari. Ci sono però alcuni elementi che rendono se non conveniente almeno molto meno onerosa l’operazione, con profili di vantaggio industriale notevoli.
Partiamo anche in questo caso da considerazioni di ordine strategico. Quella aeronautica è una componente essenziale del sistema industriale a tecnologia avanzata di una nazione; molto difficilmente l’industria aeronautica può sopravvivere con le sole commesse civili; per formare la cultura ingegneristica ed industriale necessaria ci vogliono molti decenni; la chiusura di questo settore ha sul breve periodo costi sociali elevati e nel lungo periodo costi economici e temporali di re-ingresso praticamente impossibili da affrontare. Quindi chiusa oggi è persa per sempre, e L’Italia, complice il pacifismo di maniera delle sue classi politico-intellettuali del dopoguerra, di questo know how, che risaliva agli albori pionieristici del volo umano, ne ha già buttato nel cesso un gran bel pezzo.
Basterebbe questo per scoraggiare il più incallito dei demagoghi, ma c’è di più: nella trattativa concretizzatasi nel memorandum del 2002 il Governo Berlusconi è riuscito ad ottenere dal Dipartimento della Difesa USA e da Lookeed-Martin (costruttore originario) una importante compensazione. L’F35 ha il suo stabilimento principale a Fort Worth (Texas) dove verranno prodotti la maggioranza del 2.500 velivoli previsti. Essendo stato concepito con un prodotto per il mercato mondiale sarà assemblato e parzialmente costruito anche in due altri siti al mondo, presso installazioni (dette FACO : Final Assembly & check Out ) che sono state concepite e costruite come copie esatte, anche se in scala minore, dell’avvenieristico stabilimento texano. Una sarà basata in Australia per il Far East e l’altra, udite udite, in Italia, a Cameri nel novarese. La FACO di Cameri avrà il compito di assemblare e co-produrre i velivoli destinati all’Italia (90) e agli altri clienti europei e mediterranei : si parla di 60 per l’Olanda e di un centinaio per la Turchia, più gli ordini a venire. Già oggi produce una parte dei kit alari anche per lo stabilimento americano. I numeri parlano da soli : un’area interessata di 500.000 m2, di cui 124.000 di capannoni; 3900 attrezzature specifiche e 4.900 non specifiche; 41 aziende italiane con contratti già vinti ( 7 di Finmeccanica, 18 medie aziende e 15 PMI); l’industria aeronautica italiana sarà coinvolta nel ciclo produttivo di circa 1.200 parti del velivolo e non vi sarà al mondo un solo F35 senza qualche ora di lavoro e competenza italiana a bordo; un volume di affari stimato nel tempo in 12-14 miliardi di dollari.
Sul piano delle politiche del lavoro : 500 posti in fase di costruzione del sito, 1500 assunti diretti, a regime, nella costruzione del velivolo, complessivamente, con indotto e infrastrutture, 10.000 posti di lavoro per un ciclo di vita del prodotto stimato in quasi 40 anni. Già!, Perché terminata la fase di costruzione ( si parla di 15 anni) la FACO di Cameri dovrebbe diventare il centro di manutenzione per tutti gli F35 basati in Europa, compresi quelli americani, ai quali certo non converrebbe attraversare l’Atlantico ad ogni ciclo di revisione.
Adesso ditemi, se voi foste la Lokheed Martin e, dopo aver investito insieme al Ministero della Difesa e all’industria italiana parecchie centina di milioni di dollari, e sentiste un possibile futuro Presidente del Consiglio buttare tutto questo in pasto all’opinione pubblica per una manciata ( forse ) di voti, Voi, cosa fareste ?
Se voi foste la Lokheed Martin e, dopo aver accettato di far produrre in Italia alcune componenti essenziali del velivolo, con una qualità elevatissima ma ad un costo parecchio superiore alla media, sentiste un soggetto come Di Pietro pontificare sulla capacità della pannellatura radar-assorbente dei serbatoi conformati dell’F35 di non perdere la coesione strutturale in presenza di fulmini, ditemi, Voi, cosa fareste ?
Speriamo guardino poco la televisione italiana durante la campagna elettorale.
P.S. E’ di pochi giorno or sono la notizia che il Governo giapponese ha dato il via libera alla produzione di componenti dell’F35 da parte dell’industria nipponica e che l’Inghilterra, originariamente non coinvolta, ci sta seriamente pensando.