Il sostegno all’impresa per far ripartire la crescita in Italia.
Un tema che è sul tavolo dei vari governi italiani da molti anni e che avrà un ruolo centrale anche nell’agenda del governo Letta, è quello degli strumenti per stimolare l’imprenditoria nazionale e far ripartire occupazione e consumi. La cosa ha una sua logica stringente. Le aziende, le industrie, le attività commerciali sono lo snodo centrale di ogni sistema economico funzionale e libero. Tutte le volte che nella storia si è provato ad abolire la libertà d’impresa, tipicamente nei sistemi che si sono ispirati al marxismo, l’esito è stato un disastro economico e sociale. Grazie all’apporto dell’imprenditore e dei lavoratori le aziende producono qualcosa che , monetizzato sul mercato, trasforma una materia prima, un’idea, una funzione, un servizio , che in quanto tali non sono depositabili su un conto corrente, in ricchezza, reddito, stipendio, che sul conto corrente sono certamente depositabili.
Molto del dibattito che ho ascoltato in questi giorni mi convince fino ad un certo punto. Il fulcro del problema viene spesso identificato nelle difficoltà di accesso al credito da parte delle aziende, specialmente piccole. Questo è certamente uno dei grandi problemi delle PMI italiane. Quello che mi lascia dubbioso, dopo trent’anni di esperienza nella piccola imprenditoria, è che la soluzione migliore consista nel dare più liquidità alle banche affinché queste, a loro volta, allarghino i cordoni del credito nei confronti delle aziende. In teoria l’ipotesi può stare in piedi, ma, in concreto, tutte le volte che ci si è, timidamente, provato i risultati sono stati praticamente nulli. Al contrario, queste iniezioni indirette di liquidità con la mediazione dal sistema bancario hanno finito con il favorire chi ne aveva meno bisogno: chi la liquidità o le garanzie necessarie per procurarsela già ce l’aveva e ne ha approfittato più per fare speculazione finanziaria che impresa. Non è, ovviamente, sempre così e non escludo che provvedimenti particolarmente incisivi possano, alla fine, ottenere risultati migliori su terreno della concretezza.
A me, e non solo, sembra che possa essere individuato anche un altro filone di interventi che salverebbe molti posti di lavoro : lasciare alle aziende i soldi che si guadagnano con la propria attività anziché portargli via tutto quello che incassano ( e anche di più ), sprofondandole nel baratro irreversibile dell’indebitamento verso lo Stato, con tasse e balzelli diretti e indiretti di ogni tipo immaginabile (e anche non immaginabile).
Ulteriori dubbi mi sorgono quando vedo affrontare il problema in termini troppo generali: il sistema-impresa italiano viene spesso considerato come un corpo omogeneo, afflitto da una sola malattia. In realtà, come tutti sappiamo bene, la stratificazione delle aziende italiane è estremamente articolata. Di conseguenza anche gli interventi a sostegno dovrebbero essere maggiormente differenziati. La grande, media e piccola impresa hanno problemi e necessità molto diverse tra di loro: le agevolazioni di politica economica destinate alla grande industria multinazionale sono pressoché inutili per la piccola azienda a conduzione famigliare, e viceversa. Oggi stiamo cominciando a capire che la storia del “grande è bello” era una pia illusione. Ci stiamo accorgendo che ad una economia competitiva serve una robusta presenza di tutte e tre le tipologie aziendali e quindi dovremmo modulare gli interventi per preservare tutte e tre le “taglie” delle imprese.
Il caso ha voluto che mentre scrivevo queste note lo sguardo mi sia caduto su di un volume della mia libreria che non prendevo in mano da moltissimo tempo: La Fattoria degli Animali, di George Orwell. Un noto romanzo satirico nel quale gli animali di una fattoria, abbandonati al proprio destino dal proprietario, afflitto dall’alcolismo, instaurano un sistema di autogestione. La cosa sembra funzionare fino a quando i maiali non prendono il sopravvento e impongono un sistema per il quale la fattoria prende tutto da tutti e vorrebbe restituire a ciascuno secondo i propri bisogni. Il geniale scrittore britannico, nato in India, pubblicò la sua opera nel 1945 per prendere in giro l’Unione Sovietica e il suo sistema economico, in un contesto che ora non mi interessa approfondire. Quello che mi è sembrata utile è l’idea di trarre spunto dal mondo animale per esemplificare la realtà umana.
La grande industria, secondo me, è come un panda. Ci vogliono due addetti per imboccarlo, cinque scienziati per farlo accoppiare e dieci per farlo partorire. Un animale che secondo il criterio della selezione naturale, che i liberali-liberisti vorrebbero applicare anche all’economia, dovrebbe già essersi estinto da un pezzo. Allora perché gli zoo fanno a botte per averne uno e chi lo ha se lo tiene stretto, anche se dal punto di vista organizzativo sembra una cambiale in bianco ? Perchè è il panda che fa girare il botteghino, fa vendere tanti biglietti. La stessa ragione per cui quelle nazioni che hanno una grande industria stanno facendo sforzi da ernia per tenersela in casa, tranne, ovviamente, l’Italia. Si, la grande impresa va imboccata, se serve a tenerla in vita, piaccia o non piaccia. E’ comprensibile che il mulo da soma, assegnato alla Brigata Alpina, mentre porta l’obice sul Monte Grappa, abbia del risentimento verso il panda in panciolle; ma se poi, alla fine, anche lui va in vacanza con i dividendi del botteghino, se la prenderà un po’ meno. Ci deve però essere una strategia, un criterio : do ut des. Io, Stato, ti faccio vivere nella bambagia che ti piace tanto, ma tu, quando arrivano i turisti (la crisi), non mi rispondi che sei stanco e te ne vai nella tana : fai il tuo bello spettacolino e mi fai vendere tanti biglietti (alias : tanti posti di lavoro che generano stipendi e consumi ).
La media azienda è come un cavallo da corsa: può vivere allo stato brado, ma dà risultati migliori se tenuto nel maneggio e allenato a su circuiti e lunghezze ben definiti. Fuor di metafora questa taglia aziendale tollera un certo livello di burocrazia e d’imposizione ma non si deve sfiancarla, altrimenti si pianta. L’aiuto consiste in un mix di biada, striglia e lunghe corse. E’ il segmento nel quale è maggiormente presente il rischio-doping che qui assume le forme delle scatole cinesi, della vendita a gruppi stranieri, della delocalizzazione praticata con gli aiuti di stato nazionali. Se adeguatamente accompagnata, invece, può dare grandi risultati in termini imprenditoriali esociali.
La piccola impresa, o, meglio, il piccolo imprenditore, è come un felino selvatico. Se la cava tendenzialmente per conto suo ma ha bisogno di grandi spazi di libertà. La sua attività è la caccia, sul mercato, contro i concorrenti, alla ricerca di nuovi terreni. E’ abile nel farsi le scorte, difenderle dai predatori, portare le prede alla famiglia che aspetta. Capita che a qualcuno venga la tentazione di barare e mangiare le persone; succede, in realtà, meno spesso di quanto si pensi perchè perfino il giaguaro dopo un po’ capisce che se magia le persone arrivano i cacciatori e lo fanno fuori ( come è giusto ). E’ evidente che se si costringe il giaguaro, con tutte le sue belle macchie, a correre con due zampe legate, se tutte le volte che mette le zanne sulla ciccia arriva il guardiacaccia e se la porta via, se gli si mette un GPS sulla schiena e si mandano le coordinate ai bracconieri, dopo un po’ il felino si estingue e la famosa biodiversità va a farsi benedire.
Su tutti, naturalmente, domina il Caimano!